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La lingua infinita

La lingua, molto più della struttura, è per me fondamentale. È la ricerca più faticosa e lunga […] Anche se mi viene l’idea per una bella storia, non la racconto finché (se) non trovo il linguaggio giusto. Al contrario, se ho l’idea della lingua, posso anche mettermi a scrivere a braccio, con solo un vago canovaccio in testa: la storia verrà da sè, sarà la lingua stessa a crearla. Così è stato per Non è successo niente, scritto di getto in poco più di sei mesi. Mi si potrà accusare, visto che cambio quasi sempre, di non avere uno stile (confondendolo a mio parere con il modo in cui lo stile si esprime). Può darsi. A me piace pensare di averne tanti in uno, di dire sempre tutto, appunto, “con parole mie”. Prendi un qualsiasi romanzo: se lo scomponi sempre di più, ti accorgerai a poco a poco che è costruito di frasi e parole fatte. E’ praticamente inevitabile. La mia utopia, ovviamente non realizzabile, o almeno non completamente, è evitare questa trappola (chi ci è mai riuscito? Forse solo Joyce, con il sublime, illeggibile Finnegan’s Wake). Per questo ciò che cerco è il linguaggio, e continuerò a cercarlo. Le storie sono state già tutte scritte, le abbiamo esaurite. Ma la lingua è infinita.

Tratto da “Alcune sintetiche affermazioni di Tiziano Sclavi
e un lungo sproloquio di Andrea Raos”
Pubblicato su Nazione Indiana il 5/4/2006
illustrazione: Midjourney