Trama: Fiamma decide di sposare Biagio e vivere una tranquilla vita domestica. Ma scopre di poter visitare i sogni degli altri. Venti anni e due figli dopo, Biagio muore.
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La nostra storia continuò. C’era un’intesa perfetta. Ci amavamo ed ero sicura che sarebbe stato il mio compagno per la vita. Dopo cinque mesi decidemmo di sposarci, una cosa semplice e alla buona, nella piazza principale di Avezzano. Riso, amici, musica e balli con la banda del paese. Mancava Anita e la pensai così intensamente quella notte da unirmi a lei in sogno. Eravamo collegate anche a distanza. Nuotavamo insieme, come quella prima volta che i nostri genitori ci portarono al mare. La luce abbagliante, i capitomboli sulla sabbia fine e calda, le risate, gli schizzi. Lei si avvinghiava a me e insieme ci lasciavamo trascinare dalle onde. Era il mio o il suo sogno? Un altro episodio mi fece scoprire di poter visitare i sogni degli altri. Riguardava un vicino che chiamavamo “Latte e caffè” per via della pelle a chiazze sul suo volto. Sognava di fare l’attore e la notte che lo visitai interpretava Don Josè e incontrava la sua Carmen. Com’era pallido e innamorato, vivevo anche le sue emozioni. Gli episodi furono tanti, entravo e uscivo dai sogni altrui, e mi sentivo un po’ una ladra perché mi impossessavo dei segreti più reconditi, anche se preferivo i sogni divertenti e a lieto fine. Toccò pure al portiere, che malasorte! Aveva vinto alla lotteria, ma scoprì il giorno dopo un tumore inarrestabile. Visitavo i sogni di chiunque, ma cercavo di stare alla larga da quelli di Biagio. Una notte lo vidi raccontare una fiaba a due bimbi, inventandola con la sua voce calda. Era teneramente chinato sulle loro teste appoggiate sulle sue gambe, alla luce tenue di una piccola lampada. Non vedevo i loro volti, sentivo il loro respiro e le parole: «Ancora! Ancora! Racconta, non spegnere. Resta ancora con noi». Che tenerezza. Scoprì così il suo desiderio di diventare padre, e anch’io avrei voluto. Così adottammo Carla e Marco, due orfani. Erano molto piccoli, i genitori erano scomparsi per un incidente mortale, ma con il nostro amore avrebbero dimenticato. Il tempo passò veloce. Amavamo stare insieme, giocare, raccontare e inventare storie. Non avevamo tanti soldi ma tante idee. Carla era molto interessata alla musica, a Marco piaceva il calcio e Biagio li spronava a fare sempre meglio. Così Carla diventò un’importante violinista, ma Biagio non poté assistere al suo primo concerto al Santa Cecilia di Roma, né a quelli successivi. Morì una notte, all’improvviso. Se ne andò in punta di piedi senza dirmi una parola. Fu una vera tragedia, la mia vita se ne andava nuovamente insieme a lui. I due ragazzi erano di nuovo orfani, ma uniti e pronti ad affrontare la vita a testa alta. Che ne sarebbe stato di me?
Fiamma e Biagio convolarono a giuste nozze. Naturalmente
lei non rivelò mai di essere morta né a Biagio né al prete che celebrò il
matrimonio, che del resto era esperto di vita eterna e se fosse stato messo al corrente del trapasso avrebbe potuto avvisarla che tramite la fede sarebbe rimasta viva in Cristo. Nemmeno il gruppo di persone invitate al matrimonio, composto da famiglia e amici storici di Biagio e dalle nuove amicizie post mortem di Fiamma, lo seppe mai.
Questo matrimonio tra un vivo e una morta, forse il primo (ma segreto)
esperimento storico del genere, fu per tanti anni un successo superiore a tante unioni celebrate tra vivi (e forse anche a quelle celebrate tra morti, se mai ce ne sono state). Tra Fiamma e Biagio ci fu affetto vero, di quelli che si esprimono nelle cose di tutti i giorni più che nei gesti eclatanti. Lei lo assisteva nella sua attività quotidiana di attore di teatro, sostenendo insieme a lui le prove. Lui nel tempo libero, quasi per solo diletto, amava fare il fisioterapista; anche qui lei lo aiutava, ascoltando e assistendo i pazienti nelle loro necessità. Queste esperienze le facevano vivere una sorta di déjà vu, come se in una vita passata avesse avuto a che fare con qualche altro tipo di assistenza clienti.
Il primo matrimonio al mondo tra un vivo e una morta non si limitò a esistere, ma si espanse fino a produrre due figli. Carla e Marco nacquero tre anni dopo il matrimonio e, nonostante le defunte origini da parte materna, crebbero abbastanza bene e in salute, vivendo un’infanzia e un’adolescenza tutto sommato abbastanza tranquille.
La famiglia coltivò un giro di amicizie che si rivelò nel corso di almeno due decenni con frequentazioni assidue e piacevoli, piuttosto solido. Questi incontri furono turbati solo quando, durante una cena, una loro amica, Giada, rivelò a cena di aver sognato Fiamma volare tra diverse città del mondo semplicemente sollevando il suo corpo. Quella stessa sera non solo un’altra amica, Francesca, raccontò di aver sognato Fiamma fare la pilota di aerei, ma anche Giacomo riportò un suo sogno dove Fiamma cadeva da un palazzo atterrando in piedi senza subire danni. Altri amici ancora confessarono di aver fatto simili sogni. Coincidenze che per Fiamma non furono strane solo in quanto tali, ma anche perché produssero in lei consecutive sensazioni di déjà vu.
Il giorno dopo questa cena Biagio morì per una meningite fulminante, e
questo purtroppo non era un sogno.
Biagio mi accarezzava sempre le guance guardandomi dritto negli occhi, con lo sguardo malinconico e dolce di cui mi ero innamorata. Quello sguardo mi ha fatto sembrare quella vita, vissuta sul filo del rasoio a sfidare la non-morte, ogni giorno più sciocca. In fondo non mi era mai interessato essere una Wonder Woman.
Mi ricordo il senso di vertigine di quando mi chiese di sposarlo. Facemmo una festa che durò una settimana, eravamo stupidamente felici. Così cominciò questa vita tranquilla e rassicurante, e sono stata contenta di annoiarmi con lui. Carla e Marco arrivarono insieme e inaspettati a incasinarci tutto. Un giorno, stringendoli tra le braccia, mi resi conto che visualizzavo situazioni strane, prodotte da un’immaginazione fervida e sconosciuta. Carla e Marco dormivano tranquilli quando riuscii a vedermi prenderli in braccio, in quel marasma di immagini e suoni. Capii piano piano che ero nei loro sogni. Era un viaggio più allucinante di quello che avevo fatto coi funghetti di Cristiano, e mi divertivo ogni giorno a vedere che succedeva in quelle testoline. Mentre Carla e Marco crescevano, guardare nei loro sogni cominciò a farmi sentire indiscreta, come se spiassi nei loro diari. Così smisi. Poi Marco cominciò a uscire troppo, a studiare poco, ad avere sempre la faccia stanca, così decisi di dare di nuovo un’occhiata. Marco faceva un sogno ricorrente, in cui veniva seguito e aggredito da Michele, suo maestro di Judo e migliore amico di Biagio. Cominciai ad avere dei sospetti e decisi di parlarne con Biagio, senza menzionare i sogni. Biagio non poteva capirmi e così litigammo, aspramente, come mai prima. Biagio uscì arrabbiato, con la sua bicicletta, per andare da un paziente.
Non l’ho visto più, lo sguardo di Biagio. L’ho ritrovato con gli occhi chiusi all’ospedale, a 51 anni, in coma. Sono arrivata tremando. Non avevo mai voluto entrare nei suoi sogni, ma sapevo che il suo coma non era la fine della nostra vita insieme. Ho passato il tempo a tenergli la mano e a condividere i suoi sogni. Per dieci anni mi ha fatto ridere, incazzare, emozionare, forse più di quanto avrebbe potuto in posizione verticale e con gli occhi aperti. L’ho ammirato perché in sogno gli ho scoperto una forza, un’immaginazione e una voglia di vivere inaspettate. L’ho anche odiato, a volte. Come quella volta in cui l’ho trovato a guardare Anita con quello sguardo che conoscevo bene, e me ne sono andata sbattendo la porta della sua stanza sotto lo sguardo incredulo degli infermieri.
Ieri mi hanno detto di correre da lui, ma era troppo tardi. Gli ho preso la mano, col fiatone dopo cinque piani di scale, e ho trovato il buio.
Non che avessi mai pensato di sposarmi.
Ma del resto non ero neanche il tipo che fa questo genere di cose: morire.
E non è stato nemmeno per invecchiare insieme, non ne so abbastanza: i soli anziani che ricordo sono invecchiati che erano ancora vivi.
È che quando muori ti si amplifica il presente, rimani in volo, ti investe ogni dettaglio: l’intonaco sbucciato sotto il tuo balcone, la macchiolina rossa sulla ringhiera grigia, un uomo starnutisce davanti alla tv, una donna che non vedi trema in corridoio. E tu con lei.
Vasi alla finestra, lenzuola stese, la ruota rossa di un triciclo sotto il marciapiede, un bimbo piange.
E tu con lui. Un ragazzo si leva il cappuccio, una signora spinge un passeggino vuoto, le cade dalla tasca uno scontrino.
Buste della spesa, traffico, lampioni… un fischio screziato e poi lo schianto.
L’asfalto che ti accoglie, ti avvolge e ti rigetta e tu che non hai capito ancora, ma scopri che sei morta perché dentro è tutto rotto e si ricompone a modo suo.
Il presente si amplifica, va veloce.
L’ho sposato per farlo rallentare. Per chiuderlo nell’anta di un armadio e tirarne fuori soltanto un po’ per volta, solo per quello che mi serve. Per dargli il passo dei miei bimbi.
Non funziona, sto volando ancora.
L’uomo ha starnutito davanti alla TV e ora, sonnecchiando, vede ancora sentieri in salita sotto foglie d’autunno e un amico lontano. La donna che non ho visto tremare in corridoio, una porta che si apre
anche se lei non vuole: non so cosa c’è dietro. La signora col passeggino sogna sempre un figlio che non c’è.
E io non sogno più, ma sono ancora – sempre – lì.
Anche adesso, che mio marito muore.
Ma in fondo, perché Fiamma dovrebbe dire tutta la verità?
La sua morte è solo un dettaglio che non pregiudica nulla della sua vita e delle sue relazioni, comprese quelle amorose.
Fiamma si guarda allo specchio e si chiede: “Ma io a quest’uomo qui, lo amo? Lo amo davvero?”.
È una domanda pericolosa. Perché si sa che l’amore, solo a nominarlo, ci mette un pensiero fisso in testa, vuole l’attenzione tutta per sé, ci viene a scovare anche quando tentiamo di nasconderci. Insomma, non ci dà pace.
E invece Fiamma vuole la pace e sembra proprio che l’abbia trovata qui, ad Avezzano, insieme a Biagio.
Fiamma ha un grande senso di sincerità e di lealtà, perciò vuole essere trasparente con Biagio, soprattutto adesso che sente di volere una famiglia con lui.
E allora come la mettiamo? Tenersi il segreto di essere morta non è cosa da poco e Fiamma vuole davvero mettersi tutta in gioco, consapevolmente.
“Sì, io quest’uomo lo amo e so di amarlo”. Così si risponde Fiamma. E così si presenta a Biagio: limpida, chiara, vera, presente e viva.
Sì, decisamente lei c’è in questo rapporto.
Almeno quando è vigile, cioè nei momenti di veglia.
Il discorso cambia quando Fiamma si addormenta, perché lì non deve rendere conto a nessuno di quello che pensa e fa nei sogni. Sogni che sono sempre più articolati e, forse per la sua condizione di morta, si inoltrano sempre più anche nelle dinamiche dei sogni degli altri.
Pian piano Fiamma si accorge di vedere quello che sogna Biagio e vede infatti la loro futura vita insieme, addirittura i figli che verranno, Carla e Marco.
È una strana situazione e, presa dall’entusiasmo, pensa che questa sua capacità di visitare i sogni di Biagio sia una materializzazione del suo sentimento per lui.
Decisamente è l’uomo della sua vita. E il fatto che lei, da morta, riesca di notte ad entrare nel sonno di lui, è la prova decisiva del loro amore.
La felicità è a portata di mano e i loro sogni cominciano a viaggiare insieme, tanto da non capire chi li inizia e chi dà seguito, chi li realizza.
La vita scorre tranquilla ad Avezzano e Fiamma si sente in pace con se stessa e con il mondo.
I figli sognati da Biagio sono nati davvero. Sono grandi ormai, hanno vent’anni e hanno già lasciato il nido per fare le loro esperienze. Così i genitori sono ritornati ad essere solo una coppia, ormai collaudata.
Possiamo dire che non ci siano segreti tra loro? Ci sarebbe sempre la particolare condizione di Fiamma, morta ma viva. E forse Biagio nei suoi nuovi sogni ha percepito qualcosa di strano, soprattutto nell’ultima settimana, quando il suo cuore ha avuto qualche sussulto.
Questa notte in particolare è ancora più strana. Fiamma entra nel sogno di Biagio ma, contrariamente al solito, al mattino non ne esce completamente. Eppure si è svegliata. Perché?
Semplice, perché questa notte è morto anche Biagio.
Fiamma aveva deciso di sposare Biagio nell’euforia dei mesi che erano seguiti a quel salto da dieci piani, quando ancora si meravigliava ogni giorno di essere ancora viva.
Era il periodo in cui stava saggiando, nei modi più vari, i suoi nuovi poteri.
Dopo pochi anni di matrimonio, però, per Fiamma la vita domestica era diventata asfissiante. Non era mai riuscita a raccontare a Biagio di essere morta e di avere strani e inquietanti superpoteri, e questo, nel tempo, li aveva allontanati.
Fiamma avrebbe voluto dei figli. Ci avevano provato per qualche anno, ma non era mai rimasta incinta. Un’idea le girava nella testa… se avesse incontrato un altro morto vivente come lei, sarebbe stato possibile avere dei figli? Costruire una relazione più intensa e vitale? Ma dove trovarlo?
La soluzione si presentò inaspettata quando un giorno Fiamma vide per strada un suo vecchio compagno di scuola, Francesco. Mentre gli sorrideva ebbe un’illuminazione. Nei primi anni Duemila, nella periferia romana si organizzavano corse di macchine e Francesco era uno dei più abili guidatori e scommettitori. Una sera, durante una gara, c’era stato un brutto incidente e la sua macchina aveva preso fuoco e poco dopo era esplosa. Mentre tutti urlavano e piangevano e si sentivano arrivare le sirene dei pompieri, lui era uscito dalla macchina come se niente fosse successo. Tutti avevano gridato al miracolo e dato spiegazioni meccaniche e fisiche a cui era molto difficile credere. Ma del resto lui era lì, vivo, e tutti erano così felici che avevano smesso presto di farsi domande. Ora a Fiamma era chiaro che
aveva avuto una seconda chance, proprio come lei.
Da allora lo aveva pensato tutti i giorni, finché una notte iniziò a vedere paesaggi marini, poi labrador, cavalli, donne nude e bruciate, macchine sportive… elementi che non riconosceva come parte dei suoi pensieri e delle sue fantasie.
Infine, iniziò a sentire un respiro maschile risuonare dentro di lei. Capì di essere in un sogno di Francesco. Poteva essere la sua opportunità. Iniziò a inserirsi nei suoi sogni, sempre più tenera, sempre più sexy, sperando di attivare ricordi di gioventù insieme, e desideri.
Sapeva che Francesco era diventato un agente immobiliare e gli telefonò facendo finta di cercare un appartamento. Lui pensò che fosse una strana coincidenza la telefonata di Fiamma, dopo anni, proprio quando aveva iniziato a sognarla spesso. Non aveva saputo niente della sua caduta dal decimo piano, quindi non sospettò niente.
Si incontrarono davanti a una casa di via dell’Oceano Pacifico, “quattro stanze, due bagni, cucina abitabile e una bella terrazza”; come se a lei importasse qualcosa… Comunque si dimostrò molto interessata. Andarono in un bar lì sotto per un caffè. Fiamma portò la conversazione verso ricordi della loro gioventù, poi alle gare con le macchine e lui sembrava molto divertito da quell’amarcord. Andando per gradi, lei gli parlò del suo volo dal decimo piano e gli ricordò l’incidente che lui aveva avuto. Lo guardò in viso per valutare ogni espressione. Lui capì dopo poco. Del resto, aveva cercato un’altra come lui per tanto tempo.
Dalla loro prima notte d’amore nacquero Carla e Marco, che sembravano veri, ma erano illusioni, morti viventi. Biagio lo scoprì vent’anni dopo, quando Marco ebbe un incidente stradale gravissimo in autostrada e ne uscì illeso. Fiamma gli confessò tutto. Biagio ebbe un infarto e morì poche ore dopo.
Quando arrivarono a casa, Biagio fece stendere Anita sul divano, aprì la finestra e le portò un bicchiere di acqua e zucchero.
«Come va?»
«Un pochino meglio. Ma che è successo?»
«Eri pallida, parlavi in maniera confusa, poi sei svenuta»
«Mi gira la testa»
«Metti questo sotto», e dopo averle accarezzato la nuca «Ti ricordi quello che mi hai detto?»
«No, perché?»
«Hai detto cose strane, tipo che non potevi più stare con me, che non ti senti viva… Anì, ma che succede?»
«Non lo so», mentiva. Fiamma sapeva perfettamente perché gli aveva detto quelle cose, ma non sapeva come dirgli la verità, come fargli capire che dentro il corpo di Anita da qualche tempo viveva anche lei. Provava un senso di colpa anche per la sorella, per il fatto di amare il suo uomo, ma d’altra parte lei non stava facendo nulla di male: era morta.
«Anita?»
«Eh?»
«Ma hai capito che ti ho detto?»
«No, dimmi»
«Riguardo a stamattina, quando ti ho detto della possibilità di sposarci.. che ne pensi?»
Vent’anni dopo, la vita di Fiamma andava ancora a gonfie vele. Non avrebbe mai immaginato che da morta avrebbe potuto sposarsi con l’uomo che amava, stando sempre accanto alla sorella e con due bellissimi figli. Ma la cosa più straordinaria di tutte era quello strano potere che aveva acquisito negli anni: poter visitare i sogni degli altri. Era magnifico. Una volta, per esempio, le capitò di trovarsi nel sogno di una giovane ragazza. Di quel sogno ricordò un piccolo particolare: era seduta su un prato, sotto un albero maestoso e sopra la sua testa un coltello pendeva da un ramo. Ma c’era un altro sogno che Biagio faceva spesso, almeno da un anno, sempre più o meno uguale, che pure la tormentava di continuo: lui che si scopava un’altra donna.
Non sappiamo se fu questo il motivo per cui Biagio fu trovato morto in casa sua, una mattina, nel suo letto. Quando Fiamma lo vide, al suo risveglio, ricordò una grande lezione, imparata ai tempi dell’università, sull’importanza dei sogni secondo Deleuze. Ricordò in particolare cosa Minnelli diceva sull’atto del sognare, che Deleuze trovava fenomenale: “Il sogno riguarda prima di tutto coloro che non sognano affatto. Diffidate del sogno dell’altro, perché quando siete presi nel sogno dell’altro, siete fottuti”. Fiamma ripeté questa frase per tutto il giorno, fino a quando, seduta sotto a un albero, con un coltello insanguinato appeso a un ramo sopra la sua testa, qualcosa attirò la sua attenzione. Si girò e lo vide: Biagio, poco distante da lei, la stava aspettando.
Le giornate più belle dell’inverno sono quelle gelide, quelle in cui il freddo ti entra nelle ossa e ti senti morire, ma che ti regalano giornate così limpide che puoi vedere tutto.
Ad Avezzano ancora di più.
Erano passati tre anni dal loro fidanzamento ufficiale e Fiamma aveva solo avuto il coraggio di vivere una storia d’amore da morta, di gran lunga più appagante di tutte quelle che aveva avuto quando era viva.
Quella mattina d’inverno, quando Biagio aprì il balcone per portare una coperta a Fiamma che nuda fumava tranquillamente una sigaretta sul balcone (effetti collaterali della morte quelli di non sentire caldo, freddo, fame, sete), lei gli disse a bruciapelo: «Vuoi sposarmi? Solo per un po’?»
Lui, mettendole la coperta addosso, rispose: «Che vuol dire solo per un po’?»
«Per un po’ vuol dire per il tempo che abbiamo voglia di restare insieme.»
«Tutta la vita ti sembra troppo?»
«No», rispose lei, che in fondo era già morta da un pezzo.
E si sposarono. Ad Avezzano quella stessa estate.
Dopo sette anni di matrimonio, la loro si poteva descrivere come una banale vita di coppia: casa, lavoro, viaggi, libertà, amore.
Tutto tranquillo fino a quel Natale del 2030. Erano a Tokyo, nella stessa okiya che Fiamma aveva frequentato per diventare una gheisha e che lui aveva voluto vedere dopo averne sentito parlare così tanto. Una notte mentre dormivano, anzi sognavano, Fiamma si ritrovò in un sogno non suo. Era tutto in giapponese: lei era la madre delle gheishe e rimproverava una geiko per non aver svolto bene il suo dovere. La notte successiva si ritrovò nel mondo onirico di Biagio, con due ragazzini che la rincorrevano sul Monte Velino urlando: «Mamma!».
Fu grazie a quel sogno che Fiamma riuscì ad intercettare il desiderio profondo di Biagio di essere padre. E, come sempre, fu lei a prendere l’iniziativa e gli propose di adottare dei figli.
«Ormai ho 43 anni – gli disse –, gli ovuli non li ho mai congelati come mi aveva consigliato la ginecologa… e poi al mondo ci sono così tanti bambini che hanno bisogno d’affetto…».
Adottarono due fratelli coreani di tre e cinque anni: Keiko e Kim Jin (Karla e Marko per gli amici), perché ad entrambi piacevano i loro occhi a mandorla.
Erano sposati da dieci anni quando riuscirono a portarli con loro a casa e negli anni che seguirono, riuscirono a costruire una famiglia solida e armoniosa. Per Fiamma fu un trauma trovarsi all’improvviso dentro l’incubo di Biagio che sognava di morire.
Si risvegliò di botto accanto a lui che era madido di sudore e in lacrime e lo abbracciò, calmandolo così a fondo da fargli passare la paura della morte.
Due mesi dopo lui morì davvero, cadendo da un brutto palazzo dell’EUR in un giorno di pioggia.
Quando si rialzò da terra, senza un graffio dopo la caduta, rimase esterrefatto.
Corse a casa, suonò il campanello, Fiamma aprì la porta e lui ansimando le disse: «Sono morto!».
Lei rispose: «Si, amore, ma solo per un po’!».
Guarda che faccia rilassata lo stronzo. È da quando ci siamo sposati che ogni notte, ogni santissima notte, lo trovo con la commessa dell’Ipercarni. Una volta a Parigi, una volta a Lisbona. Centinaia di volte nella cella frigo. Una volta pure a casa di nonna, sul letto a baldacchino.
Fiamma non ti sposare. Fiamma pensaci bene. Sei sicura, Fiamma? Chiaro che non fossi sicura. Pagando 300 euro di seduta e approfittando di un suo attimo di distrazione riuscii anche a buttarmi dalla finestra del counselor matrimoniale per morire e capire se fosse la decisione giusta. 300 euro sprecati.
Biagio non è qui per caso. Gli voglio bene. Forse l’ho amato, a tratti. Credevo di volere la vita di tante mie amiche, ma sposarmi è qualcosa che mi ha sempre spaventata. Nella mia famiglia non c’è mai stato un matrimonio durato più di 15 anni e due mesi, che è la durata di quello della mia bisnonna, a occhio e croce il primo divorzio in Abruzzo. Pare sia stato suo marito a volerlo. Un giorno prese il cappello di lana, il bastone e disse: «Mi ni vaje sopr a la muntagn ca si sta chiu bbon n’ghi li pecher». Letteralmente: vado sulla montagna, meglio le pecore che stare con te. E scomparve senza neanche prendere la giacca.
Sono anni che non mi faccio otto ore di sonno, costretta a inseguire Biagio in lungo e largo per controllare quello che combina. Prima di sposarmi ero solo una donna molto insicura, con il potere di morire e tornare indietro. Dopo il matrimonio sono anche una donna gelosa, con il potere di entrare e uscire dai sogni di mio marito.
Quasi mai il mio ego ne esce bene, ma posso togliermi anche tante soddisfazioni. Mettere una granata sotto il letto a baldacchino, per esempio, devo ammettere che fu un’idea geniale. E un chiaro messaggio per non trasformare i sogni in realtà. Tra l’altro l’ho sempre odiato quel letto a baldacchino.
Non ha smesso neanche qui. Su questo letto. Attaccato a questi tubi. Con i suoi figli intorno, disperati, che gli stringono la mano. Mi chiedo a questo punto se la biondina dell’Ipercarni fosse qualcos’altro, ma in venti anni non ho mai capito cosa.
Chissà perché proprio lei. Perché sognare la commessa dell’Ipercarni nel momento in cui te ne stai andando al creatore. Non appare tutta la vita davanti agli occhi? Non dico tua moglie, ma almeno i tuoi figli, tua madre. No. Lei.
Mi sono astenuta dal fare qualcosa stavolta. Ho pensato che sarebbe stato veramente un colpo basso intervenire nell’ultimo sogno di una persona che muore. Sono rimasta nascosta dietro gli ananas del banco orto-frutta.
«1 kg di macinato. Mezzo di manzo e mezzo di vitella». Così se n’è andato Biagio. Il mio amato marito Biagio. Chiedendo gli ingredienti per il ragù.
C’è chi dice che quando sei morto stai dormendo tutto l’arretrato della tua vita. Nel caso di Fiamma era l’esatto opposto. Di dormire non ne sentiva il bisogno. Di fatto nemmeno di mangiare, ma quello era un atto necessario a sostenere la finzione: difficile non far capire
che sei morta se non mangi più. Non era chiaro dove finisse tutto quello che ingeriva, visto che non aveva neanche bisogno di espletare altre funzioni corporali. Comunque, funzionava benissimo e andava bene così. Il vero stupore fu quando incinta, ma si guardò bene dal sollevare questioni a riguardo. Come fu, come non fu, dopo sei anni con Biagio nacque Marco e altri due anni dopo Carla. Parti indolori, ovviamente.
Un nome fu ereditato dal nonno paterno e uno della bisnonna materna. In famiglia furono tutti contenti.
Poco dopo la nascita di Carla, un giorno, Fiamma accusò un po’ di stanchezza e si addormentò. O almeno così credette, visto che non si ricordava più nemmeno come si facesse. Normalmente si metteva a letto con Biagio, aspettava che si addormentasse e poi leggeva, faceva dei puzzle… insomma, perdeva tempo. Aveva provato anche a fare esercizio fisico, ma si annoiava. Tanto il suo fisico, da quando era morta, non cambiava né in meglio né in peggio, quindi…
Comunque, quando si addormentò sognò il suo esame di laurea. Solo che non era il suo.
Discuteva una tesi di ingegneria meccanica sulla tenuta del ponte sullo stretto di Messina. Quando il Rettore consegnò il 110 e lode a Irina Stropovic, cercò uno specchio. Vide una ragazza bionda con due misure di seno più grandi e capì che era finita nei sogni di un’altra.
Da allora si rese conto che quando voleva poteva “addormentarsi” e finire nei sogni di chiunque. Sulle prime furono approdi casuali, poi, come una specie di GPS onirico, riuscì anche a scegliere in quali sogni finire. Solo una volta provò a entrare nei sogni di Biagio, ma si fermò dopo pochi minuti. Non lo trovava corretto e non ci provò più. Coi figli non fece nemmeno un tentativo.
Da allora quello fu uno dei suoi hobby notturni preferiti. A onor del vero non sempre furono esperienze piacevoli, ma anche morire non lo era stato e tutto sommato ci aveva fatto il callo. A confronto quelle erano delle passeggiate.
Il tempo passava, i figli crescevano, Biagio invecchiava e lei no. Si truccava per mostrare qualche anno in più per non destare sospetti, e sembrava funzionare.
Poi, d’improvviso, in casa rimasero in tre. Biagio, semplicemente, morì. Ma non come lei.
Fu una cosa un po’ più definitiva.
Fiamma osservava Roma svegliarsi dal balcone. Dopo sei anni di frequentazione, aveva deciso di sposare Biagio. Non era una cerimonia da copertina, solo una cena a lume di candela con amici intimi. Biagio, con i suoi baffi sempre perfettamente in ordine e quegli occhi verdi che sembravano nascondere un manuale di tristezze, era felice di stabilirsi nella routine domestica. Due figli, Carla e Marco, completavano il quadro.
La vita scorreva tranquilla. Fiamma lavorava come hostess, Biagio divideva il tempo tra il palcoscenico e lo studio di fisioterapia. Nessuno di loro avrebbe potuto prevedere cosa sarebbe successo dopo. Un pomeriggio, mentre accompagnava Carla a scuola, Fiamma si rese conto di avere un dono insolito: poteva entrare nei sogni delle persone. Non era magia, né maledizione, solo una curiosità irresistibile. Inizialmente, usava questa abilità per aiutare amici con incubi ricorrenti, mantenendo il tutto sotto controllo. Biagio non ne sapeva nulla e, stranamente, non sembrava necessario dirglielo.
Anni passarono senza grandi eventi. Le serate erano dedicate alla famiglia, con cene tranquille e qualche film al plasma. Fiamma gestiva il suo dono con pragmatismo, intervenendo solo quando strettamente necessario. Biagio, negli ultimi anni, appariva sempre più stanco, come se una tristezza invisibile lo gravasse. Nessuno parlava, solo il silenzio riempiva la casa.
Vent’anni dopo il matrimonio, una fredda sera d’inverno, Biagio non si svegliò più. Nessun dramma, solo un improvviso arresto cardiaco. Fiamma organizzò il funerale con la solita efficienza, mentre Carla e Marco reagivano con la discrezione di sempre. Devastata, Fiamma cercò conforto nei sogni degli altri, ma quelli di Biagio erano diventati frammenti confusi, come vecchi film in bianco e nero.
Dal laboratorio Scritture Aperte
C’è vita su morte
Questo capitolo fa parte di un’ipotesi di iperromanzo dal titolo provvisorio “C’è vita su morte”, scritta durante il laboratorio Scritture Aperte 2024-25. In ogni incontro viene assegnato ai partecipanti un punto di inizio e un punto di fine e ognuno scrive la propria versione liberamente. Il risultato è un multiverso: ogni capitolo racconta un punto di vista diverso, un universo possibile della storia.